La religione

Il Candomblé è una religione brasiliana, nata dall’eredità culturale, religiosa e filosofica degli africani schiavizzati, e riadattata in Brasile per adeguarsi alla nuova realtà sociale e alle nuove condizioni ambientali.
I miti raccontano che l’universo viene creato da Olorun, il dio supremo, da cui discendono tutti gli Orixás, le divinità venerate nel Candomblé, archetipi della personalità umana. Ogni individuo nasce sotto la protezione di un Orixá, dal quale assorbe caratteristiche fisiche e caratteriali. L’Orixá rappresenta la propria parte più profonda, il proprio Sé, la propria essenza.
Iniziarsi a questa religione significa rendere omaggio a questa parte, nutrirla, farla crescere, prendersene cura attraverso rituali simbolici.
Alcuni iniziati hanno un contatto così intimo con la propria divinità protettrice che questa si manifesta attraverso la trance per ritornare a essere unità organismica, spirito e materia insieme. Nel corpo, il sacro si manifesta e gli Orixás tornano a danzare, accompagnati dal ritmo dei tamburi, per raccontare nel movimento corporeo la loro storia e ridistribuire axé, l’energia sacra.

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L’origine

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Il traffico di schiavi africani inizia nella prima metà del 1500 e prosegue, ufficialmente, fino al 1888, anno in cui il Brasile abolisce la schiavitù. Catturate e vendute dagli europei o dalle popolazioni con cui sono in guerra, vengono deportate circa sette milioni di persone, di cui solo la metà arriva a destinazione.

Varie aree africane vengono coinvolte nel corso degli anni; nell’elenco qui sotto, per semplificare, le cito con la loro denominazione politica attuale:

  1. il ciclo della Guinea, della seconda metà del XVI secolo;
  2. il ciclo dell’Angola e del Congo, durato l’intero secolo XVII;
  3. il ciclo della Costa di San Giorgio di Mina o Costa degli schiavi, comprendente il Ghana orientale, il Togo, il Benin e la Nigeria occidentale fino a Lagos, includendo i primi tre quarti del XVIII secolo;
  4. il ciclo della baia del Benin, che va dal 1770 al 1850 circa.

Diverse etnie vengono deportate (Malê, Banto, Iorubá, Fanti-Axanti, Ewe, Fon e gruppi minori come i Kroumans, Agni, Zema e Timini), spesso in contrasto fra di loro; tuttavia la nuova condizione comune di schiavitù obbliga le persone a collaborare per poter sopravvivere.

I cosiddetti batuques, riunioni in cui gli schiavi si ritrovano a ballare e cantare per i loro dei, mascherandoli sotto l’effige dei santi cattolici, vengono sostenuti dalla Corona Reale nel tentativo di mantenerli in contatto per non far dimenticare gli antichi rancori fra le diverse tribù. Ma il risultato ottenuto va in direzione completamente opposta: il mondo religioso diventa una forza motrice per riappianare le discordie.

Le diverse divinità vengono assimilate, sincretizzate, i culti si mischiano e da questa commistione nasce il Candomblé. Ogni località, in Africa, celebrava un’unica divinità protettrice. Ogni luogo di culto brasiliano diviene una piccola Africa, in cui viene dato spazio all’adorazione di più dei.

All’inizio del XIX secolo i neri delle città iniziano a organizzarsi in irmandades (fratellanze) religiose attigue alle chiese, dove si riuniscono. Queste fratellanze poco alla volta sostituiscono i batuques dei secoli precedenti. L’etnia Nagô, in maggioranza originaria della città di Keto, costituisce due comunità diverse: i maschi quella di Nosso Senhor dos Martirios, le donne quella di Nossa Senhora da Boa Morte, attigua alla chiesa della Barroquinha.

Verso il 1830, un gruppo di schiave affrancate, originarie della città di Keto e appartenenti all’irmandade de Nossa Senhora da Boa morte, prende l’iniziativa di fondare il primo terreiro (tempio) di Candomblé keto, chiamato Iyá Omim Axé Airá Intilé, conosciuto anche come Casa Branca do Engenho Velho.

Le nazioni

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Durante i secoli di tratta degli schiavi, arrivano in Brasile diverse etnie provenienti da differenti stati. Le diverse etnie riorganizzarono i loro culti in Brasile secondo quelle che vengono denominate nazioni.

Le principali sono:

  1. Iorubá: adorano gli Orixás e gli Egun (antenati), provengono dagli attuali Nigeria e Benin. Sono conosciuti anche come Nagô, termine con cui i Fon chiamano queste popolazioni in senso dispregiativo. I loro Candomblé sono i più diffusi, soprattutto quelli provenienti dalla città di Keto. I più famosi sono Casa Branca do Engenho Velho, Gantois, Ilê Axé Opô Afonjá, Alaketu.
  2. Fon: adorano i Voduns e provengono dall’attuale Benin. Vengono chiamati anche Jejé, termine dispregiativo utilizzato dalle popolazioni iorubá. Esistono ormai pochi Candomblé puramente fon, la maggior parte hanno unito la loro religiosità con quella iorubá, dando origine ai cosiddetti Candomblé Jejé-Nagô, come la Casa di Oxumarê di Salvador.
  3. Angola: adorano gli Inkices e provengono dall’attuale Angola, stato di cultura Bântu. Spesso integrano la loro ritualità con quella indigena in cui si adorano i Caboclos, spiriti di Indios. I più conosciuti sono Bate Folha e Goméia.

Lo spazio

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Una prima grande differenziazione degli spazi di un terreiro (tempio) è fra spazio verde e spazio urbano. Il primo comprende le parti di foresta in cui raccogliere le foglie sacre, il secondo, invece, le strutture costruite per poter officiare i culti.

Fra queste troviamo:

  1. Barracão: grande sala dove si officiano le feste pubbliche, unico spazio accessibile ai non iniziati. Per sacralizzare lo spazio vengono sotterrati, in diverse parti della stanza, degli oggetti rituali. Al suo centro, per tutte le case discendenti dall’Ilé Oxumarê Araká Axé Ogodô, si trova un grosso mortaio con un assentamento (ciotola contenente simboli rituali) di Xangô, dio del tuono e della giustizia. Vi si trovano gli atabaques, i tamburi, e il trono dell’Orixá protettore della casa.
  2. Roncó, la stanza dove gli iniziandi vengono raccolti per tutto il periodo di reclusione iniziatica.
  3. Cucina, spazio in cui vengono preparate le offerte. Solitamente la cucina per la preparazione del cibo per le persone è separata dalla cucina per la preparazione del cibo sacro.
  4. Ilé Orixá, le case dove vengono custoditi gli assentamenti dei diversi Orixás. Di solito vengono raggruppati. La casa di Exu e Ogun si trova sempre all’ingresso, Iroko vive in una pianta adornata da un panno, Ossâim nella terra, mentre gli altri Orixás in casette vere e proprie.
  5. Ilé Egun, le case dove vivono e vengono celebrati gli spiriti degli iniziati venuti a mancare.

Le danze

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Le danze del Candomblé esprimono pienamente la visione filosofica iorubá dell’essere umano, percepito come una totalità costituita da parti materiali e spirituali in continua interazione tra di loro. Nella danza, dunque, si manifesta la sacralità del corpo.

Gli dei, durante alcune danze, anelano a ritrovare la propria unità organismica soma-anima, e prendono possesso del corpo dei fedeli iniziati per ripresentare, nei movimenti dei balli, le loro gesta mitiche. Ecco, allora che, Ogun, dio guerriero, danza come se fosse in battaglia, Oxum, dea dell’amore, si muove con sensualità, Oyá, signora del vento e delle tempeste, sembra quasi volare.
I movimenti raccontano, in un linguaggio iniziatico comprensibile solo a chi lo conosce, l’energia che si sta manifestando.

La musica

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L’idea del tempo e dello spazio africano è molto diversa da quella occidentale: la linearità e la consequenzialità vengono soppiantate da una concezione circolare. Questa visione si riflette anche nella musica.

I ritmi africani non hanno un inizio e una fine, ma cercano di fermare il tempo e di trovare un centro unico, fisso, eterno, che ricrei l’origine. Questo è dato dalla sincope centrale strutturata in una poliritmia, che è un insieme di più frasi musicali che si ripetono e si intrecciano. La sincope ha la funzione di segnare il movimento del va-e-vieni tra due estremi, che indicano la circolarità e dinamicità dell’axé, l’energia sacra.
Questa comunicazione e circolarità è sottolineata anche dal fatto che non esiste un distacco tra pubblico e suonatori, ma tutti fanno parte di un insieme semantico-musicale. Tutti gli spettatori partecipano battendo le mani e cantando, in uno scambio continuo.
Gli strumenti utilizzati sono gli Atabaques, i tamburi, chiamati, dal più grande al più piccolo, Rum, Rumpi e Lé, l’Agogô, campanellina suonata con una bacchetta, e lo Xequeré, zucca ricoperta con una rete di semi che viene agitata ritmicamente.
Anche i canti (cantigas) svolgono un ruolo fondamentale nel rituale: essi ricordano, in iorubá antico, le leggende legate all’Orixá per cui si sta cantando, aiutando a definirne il carattere e le qualità.

Le foglie

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Le foglie hanno un’importanza fondamentale nel Candomblé: kossi ewé, kossi orixá, senza foglie non si ha orixá. Ogni pianta ha proprietà medicamentose e spirituali, e la loro linfa, chiamata sangue verde, viene utilizzata per bagni purificatori.

Ci sono erbe che tolgono negatività, altre che aiutano le visioni, altre ancora che portano equilibrio. A ben conoscerle, esiste una pianta per qualunque necessità.
Il regno vegetale è sotto il dominio dell’Orixá Ossâim, ma ogni divinità possiede delle foglie sue proprie.
Durante il rituale chiamato sassanha, si cantano specifici orin (canti rituali) per ogni foglia, al fine di risvegliarne il potere.

La gerarchia

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  • Abiã: persona non iniziata ma che frequenta la casa di Candomblé. Si differenzia dal semplice visitatore in quanto si riconosce, in questa persona, un qualche tipo di richiamo religioso ed è probabile che la persona concluderà il suo processo iniziatico. Il suo compito, all’interno della comunità, è quello di aiutare nelle faccende domestiche, mantenendo ordinata e pulita la casa.
  • Iaô: persona iniziata nel Candomblé. Tendenzialmente va in trance, ma per alcuni può capitare che questo non accada. Essere iniziato comporta una serie di doveri nei confronti del terreiro di appartenenza. Oltre alle faccende domestiche, lo iaô ha una serie di compiti rituali ben precisi.
  • Ekédi: donna confermata nel Candomblé. Non entra in trance e, fra le altre cose, si prende cura degli iaô mentre sono in trance.
  • Ogãn: uomo confermato nel Candomblé. Non entra in trance e, fra le altre cose, si occupa dei tamburi e dei sacrifici.
  • Ebâmi: uno iaô che ha completato il ciclo iniziatico di sette anni. Significa mio fratello maggiore. Dopo i sette anni, l’apprendistato nel Candomblé si ritiene concluso, l’iniziato dovrebbe conoscere i fondamenti della religione.
  • Oloié: iniziato con un incarico particolare all’interno del terreiro. Esistono incarichi per adoxu (iniziati come iaô) e per non adoxu (ekédi e ogãn).
    Fra i primi ricordiamo Ialorixá (sacerdotessa responsabile della casa), Ia kekerê (braccio destro e sostituta della Mãe de Santo), Ialaxé (responsabile per l’axé della casa), Iá egbê (responsabile della comunità), Iá morô (responsabile del rito del padê), Iabassê (responsabile della cucina).
    Incarichi di Ogãn sono, fra i tanti, Alabê (responsabile dei tamburi), Axogun (responsabile dei sacrifici).
    Aiyabá (si occupa del sangue nei sacrifici) e Aiyabá Euê (responsabile dei canti delle foglie) sono due fra i numerosi incarichi di Ekédi.

Le offerte

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Un concetto fondamentale della cultura iorubá è lo scambio di axé, la forza che vitalizza l’intero universo, il potere di realizzazione che dinamizza e lascia avvenire l’esistenza.

Questa energia è vista come in continuo movimento e può essere indirizzata attraverso delle offerte.
Ogni Orixá ha dei cibi preferiti che gli vengono donati, carichi del loro axé e delle loro benevolenze. Offrire un cibo, preparato secondo dettami liturgici ben precisi, ha il significato di donare alle divinità tempo, sforzo ed energia in cambio delle loro benedizioni.
I cibi rituali possono essere preparati esclusivamente da chi è già iniziato.

I vestiti

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Nel Candomblé si pensa che tutto debba crescere nel tempo. Anche i vestiti seguono questa regola. Più una persona ha poco tempo di iniziazione, più i suoi indumenti sono semplici.

Come ci si veste nel Candomblé?

  1. Ospite: chi va in un terreiro come semplice visitatore non ha nessun obbligo particolare, ma è meglio non usare vestiti neri, regola che diviene obbligatoria nelle feste di Oxalá.
  2. Abiã: se uomini usano pantaloni e maglietta, se donne una gonna e un camisu, una maglietta semplice.
    Il tessuto è liscio e senza ricami.
    Camminano a piedi scalzi all’interno del terreiro.
    Le collane, se ci sono, sono piccole e semplici.
  3. Iaô: gli uomini si vestono con pantaloni, maglietta e filá (particolare cappello rituale), le donne con gonna, camisu, torso (turbante) e pano da costa (panno che avvolge il corpo e si arrotola sopra il seno) e fiocco al seno. Nelle feste si mettono delle sottogonne ingommate per rendere la gonna più gonfia. Il tessuto può essere leggermente ricamato, con dei semplici pizzi.
    Per i primi tre anni di iniziazione non si usano scarpe, dai tre ai sette si usano solo nella quotidianità del terreiro, non nelle cerimonie.
  4. Ebâmi: gli uomini usano pantaloni e maglietta, e possono usare anche delle maglie più lunghe, alla moda africana. Le donne vestono con gonna, camisu o bata (maglietta più larga in basso), torso e pano da costa e fiocco al seno.
    Il tessuto può essere riccamente ricamato.
    Usano scarpe, sempre però senza tacco.
    Usano collane con perline grandi.
  5. Ekédi: i suoi vestiti devono essere comodi e permetterle di muoversi con facilità. Usa gonna, camisu, bata, torso. Può non usare il pano da costa. Usa sempre una tovaglietta con cui poter asciugare il sudore delle persone in trance.
    Usa collane con perline grandi.
  6. Ogãn: i suoi vestiti rappresentano il suo ruolo sociale, per cui sono sempre molto raffinati: giacca e cravatta e scarpe eleganti. Nel quotidiano possono usare vestiti più semplici, ma nelle feste hanno l’obbligo di vestire con stile.

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