I rituali

Uno dei concetti principali della filosofia del Candomblé è lo scambio di energia, di axé. Quanto più riusciamo a muovere energia, tanto più ne accumuliamo per il nostro benessere. I rituali del Candomblé, dai semplici ebó (offerte) fino all’iniziazione e all’axexé (rituale funebre), hanno lo scopo di attivare l’energia e renderla disponibile per la nostra crescita spirituale, psicologica e materiale.
L’energia si dinamizza attraverso caratteristici oggetti simbolici, intensi profumi, antichi canti. “Qui cantat, bis orat”, chi canta, prega due volte, diceva Sant’Agostino. Ogni rituale ha quindi i suoi canti specifici in antica lingua iorubá, che danno maggior potere e incanto agli atti cerimoniali. Ecco allora gli oríns (canti), oriquís (saluti sotto forma di poema), adurás (preghiere), ofós (incantamenti) che, insieme ai gesti del sacerdote, precisi e potenti, sacralizzano questi momenti simbolici e permettono all’axé di attivarsi nei fedeli.

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Gli ebó

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La parola ebó significa offerta, sacrificio, e designa tutti i lavori spirituali atti a ristabilire un equilibrio energetico nella persona attraverso uno scambio di axé (energia). L’ebó, in tutta la sua vasta gamma di propositi e modalità,

restituendo e ridistribuendo axé, è l’unico modo possibile per poter conservare l’armonia fra i diversi piani di esistenza, orun (cielo) e aiyé (terra), garantendo così la loro sopravvivenza.
Gli elementi utilizzati per l’offerta, che appartengono al regno minerale, vegetale o animale, vengono tendenzialmente passati sul corpo della persona proprio perché la loro energia simbolica possa essere trasmessa all’organismo, e le richieste vengano portate al destinatario da Exu Ojixebó, l’intermediario fra i mondi.
Esistono diversi tipi di offerte: di ringraziamento per un successo (ebó opé), votive per una richiesta particolare (ebó ejé), per un problema di negatività (ebó etetú), a fine preventivo (ebó ojukoribí), per passare un male a un altro essere (ebó aiepinun), per purificare un luogo fisico (ebó ipilé).

Il bori

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Si tratta di un rituale atto a rinforzare – attraverso delle offerte – Ori, la nostra testa (bo + ori: dar da mangiare a Ori). Ori, nella filosofia iorubá, è la divinità che risiede nella nostra testa, preposta all’equilibrio emotivo e cognitivo.

Prendersene cura attraverso questa cerimonia significa, dunque, prendersi cura della nostra vita emozionale e psicologica.
Durante il bori vengono offerti elementi simbolici legati a Oxalá e Iemanjá, padre e madre di tutte le teste e di tutti gli esseri umani, affinché portino equilibrio e benessere nella vita del fedele.
La persona dormirà poi la notte intera su una stuoia di fronte alle offerte, che in parte saranno sul suo capo (igbá inú), coperte da un turbante, in parte in una ciotola contenente oggetti sacri (igbá ori), rappresentazione di Ori che risiede nei Cieli (Orun).
Questo rituale è indispensabile per la futura iniziazione, ma è anche indicato nei casi in cui serva portare pace interiore, dare direzione a persone confuse e perse, sostenere in caso di problemi emotivi, armonizzare la persona col suo mondo interno e relazionale.

L’iniziazione

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Raspare il Santo, fare il Santo, raccogliersi: sono tutti modi diversi di indicare il processo di iniziazione. Entrare nel Candomblé significa rinascere all’interno di un contesto spirituale;

vuol dire accogliere, accanto alla nostra identità sociale, anche una nuova identità religiosa.
In Africa ogni città era protetta da un singolo Orixá al quale si iniziavano i suoi cittadini: Xangô a Oyó, Oxalá a Ifé, Oxóssi a Ketu, etc. In Brasile, invece, si ritiene che ogni persona sia protetta da un Orixá in particolare, dal quale assorbe caratteristiche fisiche e caratteriali e al quale viene iniziato. Un occhio esperto è in grado di individuare l’Orixá di testa, l’Orixá fisicamente e caratterialmente più affine a una persona, ma solo l’oracolo delle conchiglie lo potrà confermare. Nel Candomblé, l’iniziato di un Orixá ne viene ritenuto il figlio.
Il processo rituale dell’iniziazione è colmo di significati simbolici legati a morte e rinascita: inizialmente i vestiti dell’iniziando vengono strappati, rappresentando così la rottura con il mondo esterno e civile, dopodiché la persona resta in raccoglimento in una stanza (roncó) per diversi giorni per simboleggiare la propria gestazione. Durante questo periodo lo iaó (iniziato), a cui vengono completamente rasati i capelli e dipinti sul corpo antichi simboli tribali legati alla famiglia di Oyó, impara le basi del rungbé, (il buon comportamento), delle danze e dei canti, delle preghiere e delle leggende. In questa fase l’iniziato si prepara a entrare nel mondo del Candomblé, fino alla cerimonia di presentazione alla comunità, la sua nascita nel mondo religioso, chiamata giorno dell’orunkó (nome), durante la quale l’Orixá, presente nel corpo dell’iniziato in trance, annuncia il proprio nome e viene omaggiato e fatto danzare. La prima parte dell’iniziazione si conclude con la panã, rituale in cui lo iaó viene gradualmente riaccompagnato alla quotidianità. Durante tutto il primo anno di iniziato, ci sono una serie di precetti e tabù da seguire, alcuni dei quali accompagneranno il fedele per tutta la vita.
Iniziarsi al Candomblé è un passo importante, cambia la vita, richiede amore, dedizione, passione e anche molti sacrifici. Una volta iniziati si dà vita a un’energia della quale ci si deve prendere cura per tutta la vita. Si tratta di un passo da valutare con attenzione, meglio se anteceduto da un lungo periodo di abiã (noviziato) al fine di sperimentare il più possibile, non solo nella teoria ma soprattutto nella pratica, la vita di fedele di Candomblé.

Le conferme

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Il processo di iniziazione è un punto di partenza, non un punto d’arrivo. Dal momento in cui una persona entra nel Candomblé, la sua vita religiosa si riempie di numerosi doveri rituali, fra cui la necessità di dare continuità al proprio processo di crescita spirituale.

Questo avviene attraverso le obbligazioni o conferme, momenti in cui lo iaó riconferma la sua identità religiosa attraverso riti specifici. I primi di questi avvengono dopo un anno dall’iniziazione, poi dopo tre anni, infine dopo sette anni. Da questo momento ogni sette anni.
L’obbligazione dei sette anni (odun Injé) è la più particolare, in quanto lo iaó diventa egbami, fratello maggiore, accedendo così a una serie di competenze e possibilità religiose prima recluse, fra cui l’opportunità, per chi scelto dagli orixás, di aprire una propria casa di Candomblé diventando pai de santo.

L’axexé

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Si tratta della cerimonia funebre del Candomblé, in cui l’axé della persona deceduta viene ridistribuito e in parte reso all’Orun, al cielo.
Nelle credenze irubá la morte non significa estinzione totale, ma si tratta di un cambio di piano di esistenza e diventa importante accompagnare questo processo.

Quando nasciamo prendiamo con noi una parte della massa progenitrice proveniente dall’Orun e con quella veniamo al mondo, insieme al nostro orí (testa) e odu (destino).
L’axexé è la cerimonia che accompagna il processo di ridistribuzione inverso a quello della nascita, e avviene quando la persona passa da un’esistenza individualizzata a un’esistenza universale. La materia viene riaccompagnata alla terra a cui rende l’axé accumulato in vita e lo spirito può accedere all’orun. Perché questo processo possa compiersi nel migliore dei modi, durante il rituale tutti gli oggetti appartenenti alla persona morta (assentamenti, collane, vestiti, etc.) vengono raccolti e rotti, permettendo così che l’axé raccolto in questi oggetti possa ritornare a un axé collettivo.
Questa cerimonia dura una settimana e, in caso di morte del sacerdote, la casa resterà chiusa un intero anno in segno di lutto, finché verrà scelto dalle conchiglie un successore.

Il padê

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Si tratta di una cerimonia in cui vengono invocate e omaggiate diverse energie ancestrali come Iami Oxorongá (le madri ancestrali) e Babá Egun (i padri ancestrali), sotto il controllo di Exu nel suo ruolo di intermediario fra Orun e Aiyé.

Si tratta di un rituale carico di pericolo in virtù del potere soprannaturale delle entità che sono invocate. L’obiettivo finale è dirigere e mantenere armoniose le relazioni con queste entità e richiedere, attraverso adeguate offerte, il loro favore e la loro protezione.
Tutti i fedeli restano in ginocchio in segno di rispetto, mentre l’officiante, coadiuvato dalla Iadagã e dalla Iá morô, officia il rituale.

Le feste

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Le feste pubbliche sono tra le poche cerimonie accessibili anche a chi non è iniziato al Candomblé.
Iniziano con uno xirê, momento in cui le sacerdotesse ballano in cerchio in senso antiorario (il tempo torna indietro…)

omaggiando tutti i principali Orixás, accompagnate dai tamburi e dai canti.
Sul finale anche gli uomini entrano nel cerchio e vengono invocate le divinità che si manifestano nel corpo dei fedeli iniziati. Gli Orixás festeggiati vengono portati in una stanza, vestiti e ornati di paramenti che recano i loro simboli rituali. Poi gli Orixás ritornano nel salone in mezzo a tutti per ballare, e ridistribuiscono il loro axé nel movimento delle danze, negli abbracci e nei regali che danno alle persone presenti.
Le feste seguono un calendario liturgico ben preciso e, ogni volta, vengono celebrati Orixás che hanno caratteristiche comuni.
All’Ilê Axé Ode Igbo, casa del mio Pai de Santo, queste sono le feste:

Acque di Oxalá
Ogun e Iemanjá
Oxóssi
Oxum e Logunedé
Olubajé (Omolu, Nanã, Ossâim, Euá, Oxumarê, Iroko)
Xangô, Airá, Iansã e Obá

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